L’isonzo è uno dei luoghi dove nei secoli i bresciani hanno sparso il proprio sangue. Lo hanno fatto nella Grande Guerra (1915-1918) e lo hanno fatto anche tre secoli prima nella guerra di Gradisca (1615-1617). Su quegli stessi monti celebrati da Ungaretti, già i nostri antenati avevano affrontato una lunga guerra di logoramento.

Rappresentazione secentesca dell’assedio di Gradisca

La Repubblica di Venezia a quel tempo era ancora in grado di competere ad armi pari con una grande potenza come l’Arciducato d’Austria degli Asburgo. A lungo la Serenissima aveva sopportato le incursioni piratesche degli Uscocchi. Costoro erano cristiani cattolici originari dei Balcani centrali che, sfuggendo all’avanzata turca, si erano portati sulle coste dalmate e da qui si erano dati alla pirateria contro i fiorenti traffici veneziani. I veneti erano convinti che attraverso le aggressioni, l’Austria ed i suoi alleati volessero  attaccare la loro giurisdizione in Adriatico. Il dominio sul mare rappresentava per Venezia un valore assoluto ed esclusivo, perciò nell’agosto 1615 arrivò il momento propizio per dichiarare guerra all’Austria, protettrice degli Uscocchi, ed avere così l’opportunità di rivendicare anche Gradisca e le terre perdute da Venezia nel 1511.

In breve tempo le truppe venete avanzarono in territorio nemico senza incontrare resistenza, dato che gli austriaci si erano chiusi nelle fortezze. Gorizia e Gradisca si trovarono ben presto minacciate e quest’ultima roccaforte diventò il punto nevralgico delle azioni di guerra.
Per tutto il 1616 l’assedio non andò bene ai veneziani: assalti e bombardamenti non sembravano sortire alcun effetto e nemmeno la vecchia tattica delle gallerie di mina funzionava. Durante una sortita degli Uscocchi, il 21 marzo cadevano sotto le mura circa 300 uomini, quasi tutti bresciani. La guerra si era staticizzata e in ottobre il comandante Pompeo Giustignani fu ucciso durante una ricognizione.

Al suo posto veniva nominato Giovanni de Medici che, dovendo far fronte ad una forte riduzione di uomini a causa delle febbri diffusesi nelle trincee, convinse la Repubblica ad assoldare una compagnia di mercenari olandesi e inglesi comandati da Giovanni Nassau. Gli effettivi arrivarono a circa 20.000 uomini, ma i comandanti veneziani faticavano a gestire le truppe olandesi e il Nassau non andava d’accordo col Medici.

Nel frattempo un altro bresciano, Giovanni Martinengo dalle Palle, nell’agosto 1616 aveva conquistato Caporetto (proprio quella da cui partirà nel 1917 la più celebre batosta dell’esercito italiano) ed era stato nominato sopraintendente all’artiglieria che in questi anni non aveva cessato di bombardare la cittadina di Gradisca.

E’ proprio nel 1617 che riprende con maggior intensità l’assedio su Gradisca che però, in giugno, ricevette rinforzi tedeschi comandati da un mercenario debuttante destinato a diventare uno dei più celebri comandanti di tutto il seicento, Albert von Wallenstein. Gli arciducali poterono così sferrare un attacco contro i veneziani: marciando su tre colonne da Farra, Gradisca e Gorizia, assaltarono il campo delle milizie albanesi di Camillo Trevigliano e inflissero gravi perdite. In questa occasione muore il capitano bresciano Pietro Avogadro e gli alemanni riescono a far affluire rifornimenti alla città assediata.

Cascina Torrazza – Monte Netto, Capriano del Colle

Pietro, della nobile famiglia Avogadro, feudataria di Lumezzane e originaria di Zanano, è ricordato anche per aver fatto erigere la torre della cascina sul Montenetto a Capriano del Colle, utilizzata come casino di caccia dove passare i periodi di svago.
Vi potrà capitare di vederla passando sulla corda molle, svettante tra le file di alberi, poche centinaia di metri più a sud della strada.

La guerra di Gradisca proseguì ancora per poco. Lo stallo evidente e la condotta deludente delle operazioni nonostante l’impiego enorme di risorse aveva portato Venezia a scegliere la via diplomatica. Agli accordi di Madrid e di Parigi la Repubblica poté comunque vantare di aver portato la guerra su suolo nemico, ottenne l’allontanamento degli Uscocchi dalle coste dalmate e il rogo delle loro navi in cambio del ritiro delle truppe da tutte le terre conquistate.
Il ruolo di un piccolo stato come Venezia iniziava ad essere marginale, ma ancora non lo si era capito. Gli stessi Asburgo non sembrano aver dato troppa attenzione a questo conflitto, spaventati più dalla minaccia turca e dai movimenti che proprio nel 1618 innescheranno un evento bellico ben più devastante: la guerra dei trent’anni.

La guerra di Gradisca costrinse la Serenissima a chiamare alle armi un numero sostanzialmente elevato di cernide da affiancare ai soldati professionisti. Furono molti i bresciani “carattati” verso l’Isonzo per combattere una guerra dispendiosa e per dare un’idea della quantità di uomini che partivano dalle nostre contrade, posso mostrarvi un documento del 1590 in cui sono descritti paese per paese gli uomini iscritti nei rolli (ruoli matricolari) che all’occorrenza dovevano rispondere alla chiamata alle armi come cernide o galeotti.

Il documento fa parte di un’analisi dell’esercito veneto, perciò somma ad un numero di uomini definito ad una certa data precedente (prima colonna) l’accrescimento di reclute all’anno 1590 (seconda colonna), a noi interessa il dato della terza colonna che costituisce il totale. Nota bene: il documento è riferito alle terre direttamente assoggettate a Brescia, perciò sono escluse le valli, la Riviera e le fortezze di Asola, Montichiari e Lonato.
Per avere un quadro più chiaro comprendente tutto il territorio provinciale devo passare ad un altro documento del 1589 in cui si specifica il numero totale delle ordinanze in 3500 suddivise come segue:
– Riviera di Salò n° 253
– Valtrompia n° 203
– Valsabbia n° 202
– Lonato n° 50
– Asola n° 51
– Valcamonica n° 250
– Brescia e territorio n° 2491

Questo documento è precedente di quasi tre decadi alla guerra contro l’Arciducato d’Austria ed è presumibile che l’aumento delle cernide bresciane si fosse avvicinato alle 4000 unità. Anche se non tutte furono impiegate nella guerra, dobbiamo considerare che Venezia radunò circa 20 mila soldati per l’attacco a Gradisca e che buona parte fu costituita da un alto numero di cernide: decisamente meno costose dei soldati professionisti e sufficientemente adeguate a “riempire” le trincee e le gallerie di mina attorno alla città.
Contando il fatto che nel 1560 il numero totale di cernide iscritte nei ruoli della Repubblica ammontava a 20.000 unità (numero che ho ricavato da un altro documento della stessa fonte), sappiamo che furono comunque molti quelli inviati al fronte, tanto più che secondo il Bianchi nel 1616 la Serenissima chiamò sotto le armi «quasi tutti i principali signori di questa Città» (Brescia, sottintesa). Infatti il 12 gennaio 1616 la città di Brescia decise con una provvisione l’invio di 1000 fanti e 700 moschettieri a proprie spese.
Molti morirono per le malattie più che per le azioni di guerra, infatti, anche tra i nobili bresciani, a fronte della morte in combattimento dell’Avogadro, si segnalano le morti per febbri di Marc’Antonio Caprioli, Francesco Guainieri, Paolo Emilio Martinengo dalle Palle e Taddeo Sala.

Per alcuni però la guerra fu anche una soluzione, ne sono prova i numerosi provvedimenti di clemenza della giustizia nei confronti di tutti quei banditi bresciani (alcuni famigeratissimi) che approfittarono della cancellazione delle pene giuridiche in cambio del servizio nell’esercito.

Alberto Fossadri

Fonti:
https://parentesistoriche.altervista.org/venezia-guerra-gradisca/
https://web.infinito.it/utenti/f/francots/rin30/gradisca.htm
https://www.popolis.it/la-torre-del-condottiero/
– A.S.Bs/Territorio ex Veneto/B.258
– Diari del Bianchi, p.97
– Treccani, Storia di Brescia, Brescia, 1961, vol.3