È passato alla storia come l’esempio perfetto del tiranno medievale, assumendo caratteri stereotipati del suo periodo, almeno tanto quanto nel nostro tempo abbiamo fatto con Mussolini. La sua figura non sempre è ben compresa dal pubblico che lo identifica come il fedele braccio dell’imperatore in Nord-Italia (non è sempre stato così), non riuscendo a cogliere nella sua personalità i tratti innovatori che di fatto hanno anticipato la politica delle nascenti Signorie, protagoniste da lì a qualche decennio grazie al superamento dell’esperienza dei Comuni.

L’abilità di creare una politica sovra-comunale

Ezzelino da Romano, insieme al fratello Alberico, controlla già Verona nel 1235, anno in cui l’imperatore Federico II di Svevia riceve la scomunica da papa Gregorio IX. La sua visione politica è già orientata al di fuori dei domini comunali ed intercetta un chiaro disegno federiciano, volto a ristrutturare l’amministrazione dell’Italia settentrionale con l’instaurazione di Signorie fedeli all’imperatore e capaci di sottomettere al suo volere le numerose e riottose città comunali della pianura padana.

L’intuizione dei da Romano si rivela corretta già nel 1236, quando Vicenza, Padova e Treviso si uniscono per conquistare Verona. Ezzelino chiama in soccorso l’imperatore che entra in Veneto e saccheggia Vicenza, consegnandola nelle sue mani, per poi avviare una trattativa con Padova, città ricca e potente, che sceglie di dedicarsi all’imperatore nel 1237 piuttosto che seguire la sorte di Vicenza: anche in questo caso il dominio del da Romano si estende su quella città. Rimasta sola, Treviso segue a ruota aprendo le porte agli imperiali. Di fatto, pur non avendo ricevuto titoli ufficiali, Ezzelino controlla tutto il Veneto, influenzando le nomine dei podestà e dei vicari imperiali che dominano sulle città a lui sottomesse e sfavorendo le fazioni avversarie con bandi, confische e demolizione delle dimore. È in questo periodo che diventa un insostituibile alleato di Federico, nonché la figura trainante delle aspirazioni ghibelline in tutto il settentrione.

L’attacco alla Lega e l’assedio di Brescia

Consolidata una base di potere nel nord-est e sicuro che il reciproco interesse avrebbe garantito la fedeltà di Ezzelino, Federico II può affondare il suo attacco alle città guelfe della Lega Lombarda, colpevoli di aderire al progetto di delegittimazione imperiale iniziato con la scomunica. Tale affondo si riassume nell’uscita di Mantova dalla Lega (1 ottobre 1237), l’assedio e seguente incendio di Montichiari (7 ottobre), l’incendio di Pontevico (1 novembre) e nella clamorosa vittoria di Cortenuova (27 novembre), che è stata tanto aspra da far credere a Federico di essersi preso la vendetta sulla disfatta subita dal Barbarossa a Legnano.
Il carroccio di Milano è catturato e spedito a Roma come monito per il Papa e per tutti i guelfi; il podestà di Milano Pietro Tiepolo, figlio del doge di Venezia, catturato e successivamente impiccato in meridione, dove anche tanti prigionieri bresciani sono stati condotti. Per il suo contributo alla vittoria, l’imperatore dà in sposa ad Ezzelino la figlia naturale Selvaggia, il 22 maggio 1238 nella basilica di S. Zeno a Verona.

Con la Lega sfaldata sul campo di battaglia, ormai Brescia si trova circondata: Bergamo e Cremona sono alleate dell’Imperatore, così come la Verona di Ezzelino, Mantova si è tirata fuori e i Milanesi si sono ritirati dopo la sconfitta. È inevitabile: nuovamente i bresciani pagano il loro ruolo di “avamposto” guelfo e devono sostenere da soli l’attacco imperiale. Nell’estate del 1238 Brescia è assediata, miracolosamente però la forza di Federico si schianta sulle mura della Leonessa e nell’autunno dello stesso anno batte in ritirata insieme al suo alleato veneto.

La rinascita della Lega e la lotta ai malesardi
La cacciata dei cavalieri – Palazzo del Broletto – potrebbe raffigurare la cacciata dei Malesardi

Negli anni successivi alla sconfitta imperiale sotto le mura di Brescia, l’imperatore è concentrato a contrastare le resistenze pontificie in Sardegna, dove è riuscito ad intronizzare come re suo figlio Enzo, mentre Ezzelino è impegnato a consolidare il suo potere in Veneto, sconvolto dalla rivolta degli Este e del fratello Alberico, che ha preso il controllo di Treviso.
È grazie a questa relativa calma che nel bresciano si accende una violenta lotta della pars ecclesiae contro i malesardi, gentiluomini milanesi e bresciani che avevano prestato servizio per l’imperatore. La ritorsione si tramuta in una vera e propria guerra civile che s’inserisce nelle vicende della guerra tra Federico e la Lega.
Il Comune inizia confiscando i beni ai ghibellini più devoti alla causa imperiale e col fornire aiuto militare agli Este (1240), prosegue con il recupero di Gavardo ed Iseo (1241-1242), poi di Ghedi (1243), ma deve affrontare i malesardi, appoggiati da Manfredi, che conquistano Pontevico e la mettono sotto il controllo di Cremona, rimasta sempre fedele a Federico. Tra il 1246 e 1248 re Enzo ed Ezzelino, aiutati dai malesardi, assediano Quinzano e occupano Leno.
Il destino favorisce i bresciani nel 1248, quando concorrono in soccorso a Parma, assediata dall’imperatore: con una sortita, la Lega infligge a Federico la più cocente delle sconfitte, tale che il campo imperiale è preso d’assalto dai guelfi e, secondo la tradizione, i soldati bresciani mettono le mani sulla corona imperiale.
Per lo Svevo la malasorte non è ancora finita. Approfittando della debolezza degli imperiali, Brescia riprende Pontevico, Leno, Vobarno e Bovegno (1248) ed il bresciano Filippo degli Ugoni, podestà di Bologna, guida i bolognesi nella battaglia di Fossalta (1249), sconfiggendo e catturando re Enzo, figlio dell’imperatore, infliggendo l’ultima determinante sconfitta a Federico che muore improvvisamente nel 1250.

Le nuove alleanze dopo la morte di Federico II

La morte dell’imperatore non cambia di molto la situazione per Ezzelino, che ora non trova freno alla sua ambizione autoritaria e punta al consolidamento del potere tramite un’egemonia totale. Nei suoi domini si intensificano bandi, confische, incarcerazioni e condanne a morte dei possibili oppositori, senza riguardo nemmeno per gli ecclesiastici.
Nel frattempo il nuovo papa Innocenzo IV si attiva per evitare che, scomparso il nemico, l’alleanza tra le città guelfe inizi a vacillare. Nel settembre 1251 passa da Brescia, anche per sostenere la pace che i bresciani hanno da poco concluso con Bergamo, la quale 15 anni prima aveva abbandonato la Lega per seguire le sorti di Federico II. Negli stessi istanti, l’erede dell’Impero Corrado IV, si trova a Verona e sul confine bresciano aleggia l’ombra di una nuova incursione.
Perciò il rinnovo della Lega si celebra in pompa magna a Brescia l’8 marzo 1252, sotto la guida del cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Per contro, Ezzelino trova una spalla nel potente vicario imperiale Oberto II Pallavicino, che grazie all’aiuto di Buoso da Dovara aveva preso il potere assoluto su Cremona qualche anno prima.

La crociata lombarda e la conquista di Brescia

Approfittando della rottura tra Manfredi (che regnava sul meridione) e Corrado IV, il papa decide di attuare un’offensiva nel 1254, disconoscendo di fatto il regno di Sicilia dai possedimenti imperiali e scomunicando sia lo Svevo che Ezzelino, bandendo una Crociata in Lombardia. I bresciani accolgono gli eventi con entusiasmo e sono galvanizzati dalla morte improvvisa di Corrado nel maggio dello stesso anno, tanto che per celebrare ciò erigono un nuovo monastero dedicato al Santo fraticello morto vent’anni prima, Francesco.
Tralasciando i risvolti siciliani, la morte del papa Innocenzo alla fine dell’anno ed il risveglio dei ghibellini in tutta Italia (il Pallavicino aveva nel frattempo sottomesso anche Piacenza), scatenano la guerra civile in Milano, ponendo le altre città guelfe in una situazione di stasi. A Brescia è il vescovo Cavalcano ad imporsi e decidere di mettere mano alle spade per far guerra ad Ezzelino, ma i ghibellini bresciani hanno un moto d’orgoglio: forti della situazione confusa e guidati da Griffo de Griffi attuano un colpo di mano, rovesciando il governo guelfo e costringendo il vescovo a fuggire.
Ezzelino, che già si trova nei territori fra Brescia e Mantova con il suo esercito, spera vanamente che i ghibellini bresciani lo acclamino signore della città, compensandolo così della perdita di Padova, appena conquistata dai crociati. Si disillude quando scopre che questi hanno nominato loro signore proprio Griffo de Griffi, il quale tenta di riappacificare le parti, preferendo non salire sul carro di Ezzelino.
Nel 1258 il vescovo Cavalcano ed i guelfi più accaniti riescono a riprendere il controllo della città, con le conseguenti violenze subite dai ghibellini. Ezzelino ed Oberto muovono allora contro l’esercito crociato, scontrandosi a Torricella di Ostiano il 28 agosto 1258. L’armata della Pars Ecclesiae, composta in gran parte da bresciani, è duramente sconfitta: l’arcivescovo di Ravenna e 4000 bresciani vanno a riempire le prigioni di Cremona. Tra loro membri delle famiglie Martinengo, Lavellongo e Brusati. Brescia è costretta ad aprire le porte ai vincitori.

La Signoria sulla città e la tragica fine

Il dominio su Brescia è spartito in quattro quote: due vanno al da Romano, una al Pallavicino e una a Buoso da Dovara. Ezzelino non è una persona empatica e lo ha dimostrato anni prima quando nemmeno Antonio da Padova, il futuro Santo, riuscì a convincerlo a risparmiare un avversario, quindi anche su Brescia applica i suoi metodi efferati. A rimetterci sono le famiglie guelfe e il vescovo Cavalcano, costretto a scappare a Lovere, dove morirà anni dopo. I guelfi più compromessi si rifugiano nei castelli del territorio, in particolare a Orzinuovi, ma in città le torri e le case di questi vengono abbattute. Molto rapidamente ed erroneamente Ezzelino decide di non rispettare le quote di Oberto e Buoso, tiranneggiando sulla città da solo e spingendo i due ex alleati verso un’intesa con i nemici. Forse pensava di non aver più bisogno di loro perché Alberto da Soresina, capo della fazione nobiliare milanese, gli aveva appena offerto la signoria su Milano, tuttavia la parte popolare è riuscita velocemente ad estrometterlo in favore di Martino della Torre, che si unisce alla crociata anti-ezzeliniana.
Ezzelino è anche oggetto di congiure continue mentre si trova a Brescia, alle quali risponde con le relative repressioni. Famosa è quella del Traina, detto il Gallo, legato alla pietra che prendeva il suo nome, ma anche quella di Marco Lavellongo, cui il tiranno fa cavare gli occhi.
In breve il da Romano si ritrova una potente armata che mira a distruggerlo e decide di affrontarla. Muove con uno stratagemma verso Orzinuovi, minacciando gli esuli bresciani di parte guelfa che vi si erano radunati. In questo modo attira Oberto Pallavicino e Buoso da Dovara che accorrono in soccorso della cittadina e chiamano in aiuto Martino della Torre. A diversivo riuscito, Ezzelino distoglie dall’assedio di Orzinuovi un esercito di 8.000 cavalli, con l’obiettivo di prendere Milano, sguarnita da difese.
Fa male i conti però, perché si muove troppo presto (o troppo velocemente): quando si avvicina alla città Martino è solo a Pioltello e informato del suo arrivo riesce ad intercettarlo e respingerlo. Dopo aver tentato vanamente di attaccare Monza, per garantirsi una via di fuga cerca di prendere il ponte di Cassano d’Adda, dove l’esercito avversario lo affronta in battaglia il 16 settembre 1259. Accerchiato e ferito gravemente (poco credibilmente la tradizione vuole sia stato colpito da Mazzoldo Lavellongo, vendicatore del fratello ucciso), dopo accanita resistenza è finalmente vinto e catturato. Tradotto nel castello di Soncino dove è rinchiuso nelle prigioni, pare si sia strappato di dosso le bende, lasciandosi morire dissanguato forse il 27 settembre, senza essersi riconciliato con la Chiesa. Grazie a Martino della Torre al suo posto, su Milano e Brescia, si apre la signoria di Oberto Pallavicino, e la storia volta pagina.

La disfatta di Ezzelino – Adeodato
Retaggio storico per i bresciani

Il Malvezzi, nel suo Chronicon Brixianum, dà la descrizione di un tiranno crudelissimo, non discostandosi dagli altri cronisti. Ne do qualche spunto per capire, tenendo ben presente che si tratta di notizie di molto esagerate se non inventate.
Il Malvezzi scriveva che Ezzelino aveva fatto morire  di fame e tormenti il proprio fratello Ziramonte (se mai sia esistito), un nipote ed il suocero con tutti i suoi figli, mutilando molte donne sue parenti. Poi dice che presa Brescia, vi commise immani crudeltà: fece uccidere donne incinte; ad altre deturpò il viso; tormentava e uccideva i prigionieri di guerra; cacciava in esilio i cittadini dopo averli privati di occhi, mani e piedi; bruciò vivi molti sacerdoti e altri ne accecò ed evirò, giurando di voler riempire di testicoli di preti un pozzo profondo.
Anche il famoso cronista parmense Salimbene de Adam, dopo aver detto di Ezzelino che era stato più crudele di Nerone, Domiziano, Decio e Diocleziano, conclude col dire che, “siccome il Figlio di Dio volle avere uno specialissimo amico e fatto a sua somiglianza, cioè il beato Francesco; così il diavolo volle Ezzelino!”

Alberto Fossadri

FONTI:
– Cronaca di Fra Salimbene parmigiano, vol. I
– Giacomo Malvezzi – Chronicon Brixianum, sec. XV
https://www.treccani.it/enciclopedia/ezzelino-iii-da-romano_%28Dizionario-Biografico%29/
– Enciclopedia Bresciana/Ezzelino da Romano
– Enciclopedia Bresciana/Malesardi
– Treccani, Storia di Brescia, Brescia, 1961, vol.1