Da poco più di due mesi Benito Mussolini era a capo del governo e le milizie fasciste imperversavano ancora incontrollate ed incontrastate anche nel nostro territorio, manganellando e opprimendo chiunque non sia allineato con loro. Sul territorio, dopo la Grande Guerra, erano nati numerosi gruppi di ex combattenti che volevano tutelare i diritti delle vedove, dei mutilati e di tutti gli ex soldati. Molti di questi gruppi, pur non volendo essere accostati ad un partito, erano vicini alla linea socialista, perciò venivano spesso definiti “partito ghislandiano” in riferimento a Guglielmo Ghislandi di Breno, che fondò la sezione degli ex combattenti in Valcamonica e si iscrisse poi al PSI.

La sezione di Pian Camuno guidata da Alghisio Poiatti era su questa linea e in questi anni erano stati assai frequenti gli scontri tra gli ex combattenti di Pian Camuno e i pochi fascisti del paese che, per affrontarli, spesso ricorrevano all’aiuto dei fascisti provenienti dai paesi vicini. Il sottoprefetto (emanazione del governo) ritenne di dover ammonire il Poiatti ed inviò a tale scopo i carabinieri. Il Poiatti reagì ai militi aiutato dagli ex combattenti, fino al punto da estrarre una rivoltella per costringere i carabinieri a lasciarlo in pace. Costoro lo lasciarono andare, convinti di arrestarlo a casa l’indomani.

I fascisti di Pisogne, saputo il fatto, decisero di piantonare la casa di Alghisio per impedire che fuggisse prima che i carabinieri lo avessero preso. A riprova di come, anche sul nostro territorio, le milizie di un partito erano fortemente tollerate e usate dalle autorità e dalle FdO. Evidentemente ai mussoliniani non bastava la guardia ed un paio di loro si intrufolarono nel cortile del Poiatti, il quale li scoprì e, con l’aiuto dei fratelli, li disarmò e li chiuse nella stalla (il Poiatti sfilò l’elmetto dalla testa di uno dei due incursori e lo colpì in faccia con lo stesso facendogli saltare tutti i denti incisivi). I camerati rimasti fuori decisero però di irrompere per liberare i compagni e da qui nacque un violento scontro. I carabinieri, avvisati che in casa Poiatti si stava sparando, accorsero immediatamente (secondo la famiglia i carabinieri erano già sul posto quando i fascisti fecero irruzione).

Presto la lotta si trasformò in carabinieri e fascisti da un lato, famiglia Poiatti dall’altro. Un carabiniere rimase ferito, ma ad avere la peggio furono i familiari di Alghisio: morirono i fratelli Giovanni Maria (36 anni), Siro (24 anni) e la sorella Angelina (44 anni) a cui fracassarono il cranio con il calcio del fucile. Tra i feriti l’appuntato Petruzzi Giovanni e il fascista Bianchi Pietro, oltre ad Alghisio Poiatti, Domenico Poiatti, Gianpietro Poiatti e Maria Poiatti.

Nell’articolo de “La sentinella bresciana” del 9 gen. 1923 che qui pubblico, si trova anche la versione della madre di Alghisio. Per meglio contestualizzare, ricordo che questo era il giornale dei liberali, perciò allineato ai fascisti in questo periodo di alleanza nei famosi “Blocchi nazionali”. In effetti il direttore Ducos commentò positivamente la marcia su Roma dei fascisti (28 ott. 1922), allineamento che mutò radicalmente dopo il delitto Matteotti del 1924, decretando in breve tempo l’allontanamento dal movimento fascista del giornale e infine la sua stessa chiusura (1925).

Alberto Fossadri

Fonte:
– periodico “La sentinella bresciana” – 9 gen. 1923