Misurare il tempo è una convenzione, un accordo tra individui che permette l’organizzazione delle attività sociali e stabilire la cronologia di queste rispetto ad un punto di riferimento temporale.
Nell’antichità gli uomini si regolavano osservando il ciclo del sole fra l’alba ed il tramonto e le fasi lunari. Per calcolare periodi più lunghi invece, il ciclo delle stagioni, ad esempio per le attività agricole. Ma quando la civiltà umana ha iniziato a dotarsi di una burocrazia, occorreva darsi dei punti di riferimento più lunghi e precisi, per stabilire ad esempio, quando un tizio avesse acquistato una proprietà, o fino a quando sarebbe durata un’alleanza militare.
Nel Medioevo la misurazione del tempo era una cosa complicata, già nella sua per noi semplice misurazione della giornata. I primi orologi meccanici sono comparsi alla fine del medioevo. Nel periodo della società feudale le giornate erano scandite dai rintocchi delle campane, che però non segnavano le ore del giorno. Per descrivervi quanto fosse complicato vi racconto questo aneddoto che Mark Block ha sapientemente ricostruito nel suo celebre libro “La società feudale”.

A Mons doveva disputarsi un duello tra due nobiluomini che si erano citati in giudizio ed avevano deciso di risolvere la contesa a questa maniera. Tuttavia, solo uno dei due campioni si presentò in piazza e, passata l’ora nona, come stabiliva la pratica il contendente che si era presentato pretese che gli fosse riconosciuta la vittoria. Su questo non c’era nulla da obiettare, se non che i giudici prima di sentenziare dovevano stabilire se effettivamente l’ora nona fosse passata. Dopo essersi consultati con i monaci, la cui routine fatta di preghiere scandite nell’arco della giornata rendeva più avvezzi a sapere quale ora del giorno fosse, e avendo ricevuto l’assenso per considerare passata l’ora nona, i giudici decretarono la vittoria del campione. Capiamo quanto sia lontana dalla nostra consuetudine, l’idea che debba riunirsi una commissione di giudici per stabilire che ora è?!

Non c’è da stupirsi quindi se la popolazione rimase affascinata e colpita quando a Milano fu costruito il primo orologio pubblico d’Italia, nel 1336, sul campanile di S. Gottardo. Un orologio senza quadrante, che rintoccava sulle campane le ore grazie ad un sofisticato meccanismo. L’avvenimento era stato così importante che quel quartiere fu chiamato “contrada delle ore”! Tuttavia c’era un problema: l’orologio contava le ore dal tramonto, e siccome tra estate ed inverno il tramonto cambia molto la sua cadenza, potete immaginarvi.

È comunque in questo secolo che si iniziano a vedere in giro i primi orologi meccanici. Devo dire una cosa però, se è vero che già in quell’epoca l’orario di una giornata era composto da 24 ore, non è sempre stato vero che le 12 rappresentassero il mezzogiorno. Non avete mai fatto caso all’orologio di Piazza Loggia?! Fino ai tempi recenti, da noi vigeva il sistema “all’italiana” appunto, che prevedeva l’inizio della giornata con il tramonto, che indicativamente veniva fissato alle nostre ore 18. L’idea non era sbagliata, in un’ottica cristiana, prima ci sono le tenebre e poi la luce. Per cui il ciclo era notte/giorno seguendo correttamente l’andamento solare. Quindi alle ore 24 che sono le nostre 6 di sera, c’era il cambio della data. Ecco perché quando uno porta il cappello con la visiera abbassata, si dice “el porta el capèl sole 23” che poi sarebbero le 5 di sera. A quell’ora il sole si abbassa e si usava coprirsi gli occhi con le tese del cappello. Chi l’ha deciso di cambiare l’orario con l’attuale? Beh, Napoleone ha portato anche questo…

A voler rivedere gli avvenimenti, sarebbero molte le discussioni da aprire. Ad esempio S. Carlo Borromeo che è patrono di molti paesi anche nel bresciano, viene celebrato il 4 novembre perché è il giorno della sua morte. Ma siccome lui è morto poco dopo il tramonto, quindi per quel tempo il 4 novembre, ma prima della mezzanotte… per cui con l’uso moderno dovremmo considerarlo deceduto il 3 novembre. Perciò? Quando lo festeggiamo?!

Attenzione, anche il modo di calcolare gli anni non era uguale dappertutto. Per la nostra società l’inizio dell’anno corrisponde al 1° gennaio, e questo perché nel 1582, quando in buona parte d’Europa fu istituito il calendario Gregoriano, si ritornò lentamente all’uso romano imposto da Giulio Cesare che prevedeva il capodanno con questa data. Prima quindi non era così, ogni città adottava quello che si dice uno “stile” alimentando certamente una gran confusione.

Gran parte di questi calendari venivano adottati su differenti teorie ma comunque riferiti a concetti cristiani. I principali stili usati in Italia erano quello della Natività di Gesù, adottato anche dalla città di Brescia, dove l’anno inizia il 25 dicembre; e quello dell’Incarnazione, quindi basato sul presunto concepimento di Gesù, il 25 marzo. Attenzione però! Siccome questo secondo stile era usatissimo in toscana, la città di Pisa, vuoi che non trovasse qualcosa di diverso rispetto all’odiata Firenze?! Infatti, pur avendo il capodanno identico, l’anno era diverso per le due città! Perché Pisa anticipava di nove mesi l’anno moderno, mentre le altre città toscane posticipavano di tre.

Venezia, invece, che tenete presente è stata la nostra capitale per parecchio tempo, volendo rimarcare il fatto di essere una Repubblica, adottò il capodanno secondo il calendario romano di epoca repubblicana, non quello di Giulio Cesare. Perciò il capodanno veneto era il 1° marzo, e gli storici lo chiamano “more veneto”. In questo guazzabuglio di calendari, succedono cose che ad un ricercatore fanno strabuzzare gli occhi. Ad esempio possiamo trovare una lettera scritta da Brescia il 28 dicembre 1600 e spedite a Venezia, che hanno per risposta una datata 3 gennaio 1599. Si rischia di perdersi!

Poi arrivarono i soliti francesi di Napoleone, che cercarono di reimpostare tutto il calendario. Non gli andava bene nemmeno il Gregoriano e imposero quello Rivoluzionario, ma comunque la cosa non durò molto.
E all’interno del calendario?! Come ci si orientava? Ogni mese era diviso in tre periodi. I giorni si indicavano non con il numero, ma con il santo o la festività al quale erano dedicati. Ecco perché ai nostri antenati, quando chiedevano del loro anniversario di matrimonio, se si ricordavano, rispondevano tipo “il giorno dopo dell’Assunzione di 10 anni fa”.
Il giorno come già detto era diviso in ventiquattro ore, dodici per il giorno e dodici per la notte. Alcune di queste ore erano particolarmente importanti per tutto il popolo. Durante il Medioevo l’ora più importante era la Nona, che segnava la fine del lavoro del monaco che poteva recarsi al refettorio e quindi anche dei contadini che sentendo le campane dei monasteri potevano avviarsi verso casa.

I mezzi per calcolare il tempo prima degli orologi erano: le stelle, le meridiane che ovviamente funzionano solo se c’è il sole, la clessidra che avevano in pochi e il tempo di combustione delle candele. Su una candela potevano essere messi anche dei segni ad intervalli regolari che al consumarsi della cera indicavano lo scorrere delle ore, ma ovviamente ere un metodo molto approssimativo.

Teniamo presente quante difficoltà potevano avere i nostri avi perché semplicemente non sapevano che giorno o che ora fosse. Tutte cose che oggi diamo maledettamente per scontate, eppure, ci sono voluti millenni per darci questa possibilità e stabilire una convenzione uguale quasi per tutti.

Alberto Fossadri