librinelli_bartolomeoSecondo lo storico don Sina, questa famiglia venne ad Esine da Malegno verso la metà del sec. XVI. Inizialmente si chiamavano Librina, poi divenuti Librinini e sucessivamente un ramo della famiglia mutò nuovamente cognome in Librinelli. Era stata una famiglia agiata nel ‘600 e nel ‘700 e si estinse proprio con don Bartolomeo e la sorella Francesca.

La storia di Bartolomeo ricorda un po’ quella di S. Agostino, anche se più nostrana e meno gloriosa. Nacque a Plemo il 22 maggio 1755 dal notaio Giovanni Battista notaio e di Maria Tottoli. Rimase orfano del padre quand’era ancora un bambino e fu cresciuto dalla madre. Ebbe la prima istruzione da don Giovanni Maria Zana, parroco di Nadro, che teneva una scuola molto apprezzata e mostrando un certo intelletto e buone capacità di apprendimento, a 15 anni fu mandato a Bergamo per la prosecuzione degli studi. Essendo sempre stato d’animo vivace ed appassionato di musica e di canto, divenne presto l’animatore di allegre brigate, partecipando a veglie, festini, balli e “matinate” organizzando anche piacevoli beffe e scherzi, ma che alternò a periodi di ritiro in località Rugola.

Studiò filosofia a Bologna, ma rinunciò ai suoi studi e ritornò a Plemo per stare vicino alla madre e curare il patrimonio familiare. Una vita mondana e vivace lo ha portato a vivere misteriosi accadimenti e frequenti pericoli: in una locanda di Cedegolo un feroce molosso lo assalì di notte; durante una partita di caccia perdette l’orientamento e venne messo sul giusto sentiero da un vecchio; mentre un’altra volta cadde in un precipizio e rischiò di sprofondare in un gorgo d’acqua dal quale si salvò per miracolo. Tali avvenimenti lo portarono a riflettere seriamente sul condurre una vita meno dissipata.

Durante una delle “Missioni al popolo” tenutasi a Piamborno dove si era recato per suonare l’organo nelle sacre funzioni, nell’udire soprattutto le prediche sulla morte e sull’inferno si convertì e si diede ad una vita di preghiera e mortificazione senza badare alle derisioni e alle calunnie. Dopo aver vinto tentazioni, contrasti e soprattutto le resistenze dei familiari, sentì la vocazione al sacerdozio ed il 6 maggio 1785 vestiva finalmente l’abito talare. Studiò nel Seminario di Brescia dando esempi di grande virtù e il 17 maggio 1788, a 33 anni, celebrava la prima messa.

Mandato curato parroco a Sacca  di Esine si dedicò con intensità ad una vita di intenso apostolato. Trasformò la canonica e in parte la parrocchia in una specie di convento, vivendo in austerità e in adorazione. Zelantissimo si dedicò alla predicazione e alle confessioni e dal 1793, fino alla soppressione del monastero, fu confessore delle Suore Salesiane di Darfo. Non disdegnò metodi nuovi, per cui è ritenuto il fondatore del primo oratorio femminile della Valcamonica. Grande fu la sua carità verso il prossimo fino a privarsi del necessario per venire loro incontro.
Celebre è l’aneddoto che lo vede rincorrere dei briganti che gli avevano svaligiato la casa, per consegnar loro del denaro che non sapeva di avere ancora con sé. All’arrivo dell’armata napoleonica nel 1797, con il conseguente subbuglio istituzionale, intervenne per pacificare gli animi cercando di svincolare il suo popolo dalle idee giacobine e compì ogni sforzo per difendere il convento delle Salesiane di Darfo dalle soppressioni napoleoniche.

Passata l’epopea napoleonica le fatiche non si erano esaurite. Nel 1816 scoppiò una terribile carestia e don Bartolomeo Librinelli vendette ogni avere paterno per distribuirlo ai bisognosi. Con il più grande disprezzo di sé, l’anno dopo si dedicò ad assistere i malati colpiti dell’epidemia di febbre petecchiale. Contagiatosi egli stesso volle salutare il suo popolo morendo santamente. All’annuncio della sua morte la voce ricorrente fu “è morto il santo di Sacca”. I funerali furono trionfali e la sua salma sepolta nel piccolo cimitero della parrocchia di Sacca e fu poi depositata in una cappella che si riempì presto di ex voto, a tal proposito un manoscritto, trascritto nel 1975 da G. S. Pedersoli ricorda:

“Si avvisò che in quel luogo dov’era stato posto il corpo del Servo di Dio, non crebbe per tre anni intieri l’erba”

Pedersoli però fa giustamente notare che la cappella era molto frequentata, l’erba calpestata e forse addirittura asportata come ricordo della visita alla sua tomba.

Don Librinelli venne ricordato il 20 agosto 1919 dal vescovo mons. Giacinto Gaggia, poi nel 1975 oltre che la stampa di una biografia anonima gli venne dedicata nel cortiletto della casa curaziale di Sacca una lapide benedetta il 29 giugno dal vescovo di Brescia, mons. Luigi Morstabilini. Essa recita: «In questa casa / redentrice per i peccatori / ospitale peri poveri / trascorse la sua vita / don Bartolomeo Librinelli / (1755-1817) / sacerdote zelante / Posta ricordo / nel 220° anno dalla nascita / il 29 giugno 1975».

Fino a pochi anni fa Bartolomeo Librinelli, chiamato affettuosamente “el beàt cüradì”, veniva particolarmente pregato dalle mogli degli emigranti di cui erano frequenti i pellegrinaggi sulla tomba nel cimitero di Sacca ad Esine.

Alberto Fossadri

Fonti:
– Enciclopedia Bresciana/Librinelli, famiglia
– Enciclopedia Bresciana/Librinelli Bartolomeo
– Anonimo, Cenni sulla vita di don Bartolomeo Librinelli, a cura G.S.Pedersoli, Edizioni S. Marco, 1975, Cividate Camuno
– Giornale della Valcamonica, anno XXVII, N°18, p.16